Se
in America Hollywood
era la capitale
del cinema, in Europa, in seguito alla Seconda Guerra
Mondiale nacquero in molte nazioni
diverse scuole di cinema tutte accomunate dalla voglia di rappresentare la realtà. Durante
gli anni '50, il cinema
scopre una nuova architettura dell'immagine, nella quale avviene
una dissociazione tra immagine pura e azione
rappresentata. Nasce la disarticolazione degli oggetti e dei corpi a partire
dal dopoguerra immediato
opponendosi alle convenzioni
stabilite in precedenza.
Il cinema di quell'epoca inizia
a dare importanza
alla semplice visione:
l'immagine non è più costretta
a ricercare significati
occulti e scopi sui quali reggersi, diventando
libera. In Italia,
tra il 1943 e il 1955, si sviluppò il neorealismo: introdotto
da Luchino Visconti
(Ossessione) e Vittorio
De Sica (I bambini ci guardano), venne suggellato da Roberto Rossellini
(Roma città aperta
e Paisà) e idealmente chiuso
dallo stesso De Sica (Il tetto) che firmò uno dopo l'altro
quattro capolavori assoluti
di questa corrente,
scritti in collaborazione con Cesare Zavattini:
Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo
a Milano e Umberto D. Il cinema
neorealista per la prima volta abbandona i teatri di posa per scendere a contatto con la gente comune in mezzo alle strade, accentuando
grandemente la sensazione
di realtà documentaria
che ispirano e affascinano diversi
registi nel mondo,
come il giapponese
Akira Kurosawa. Anche dopo il periodo prettamente
neorealista, l'Italia ha potuto vantare
una nuova generazione
di registi, ugualmente
neorealisti, ma in maniera diversa,
come Federico Fellini,
Michelangelo Antonioni, Mario Monicelli, Ettore
Scola, Dino Risi, Pier Paolo Pasolini e più tardi Bernardo Bertolucci.
Diventano importantissimi gli esperimenti di cinema introspettivo
di Marcel Carné,
realizzati subito dopo la Seconda
Guerra Mondiale poi concretizzati in grandi film dai maestri
del cinema introspettivo
Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni:
la realtà non è più analizzata come qualcosa di oggettivo, tutto diventa soggettivo
ed ambiguo, il ritmo è lento e le scene sono lunghe
e silenziose e i registi
si soffermano su particolari prima di allora
trascurati. Il cinema
comincia a diventare manifesto
del subconscio del regista e anche forma di personale
contestazione.